Il comunismo in Russia - Lenin e Stalin

Le conseguenze della Prima Guerra Mondiale e la guerra civile causarono una grave carestia: a Mosca e a Pietroburgo mancava il cibo.

Il Partito Comunista affrontò il problema vietando ai contadini, diventati proprietari della terra, la vendita dei prodotti delle campagne e requisendoli per portarli alle città. La moneta quasi scomparve.

Lenin inoltre fece diventare tutte le industrie proprietà dello Stato (“
nazionalizzazione”). Fu il “comunismo di guerra”.

Terminata la guerra civile, Lenin mutò atteggiamento e avviò una Nuova Politica Economica: i contadini potevano vendere parte dei loro prodotti e le piccole aziende tornarono ai privati. La proprietà privata era contraria al comunismo, ma Lenin ritenne necessario giungere a un compromesso. Creò un sistema scolastico statale e la sanità pubblica gratuita.

Organizzò un'associazione di tutti i partiti socialisti e comunisti del mondo, chiamata Terza Internazionale, il cui scopo era diffondere la rivoluzione comunista nel mondo.

Suddivise l'immenso territorio dell'ex Impero Russo, composto da etnie diversissime, in repubbliche formalmente autonome, ma unite in una federazione (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche – URSS) controllata dal Partito Comunista.

Lo Stato sovietico (URSS) durerà fino al 1991, quando l'ultimo capo del Partito Comunista sovietico, Michail Gorbaciov, rassegnerà le dimissioni a scioglierà la federazione delle repubbliche socialiste.



Stalin

Quando Lenin morì (1924) si aperse la lotta per la successione alla guida del Partito Comunista e quindi dell'URSS, che ormai coincidevano. Si fronteggiarono a lungo Trotzkij (il capo dell'esercito dell'Armata Rossa) e Stalin (il segretario del Partito Comunista). Prevalse il secondo, che consolidò il suo potere facendo uccidere o esiliando molti capi comunisti contrari alle sue idee.

Stalin eliminò le libertà economiche concesse da Lenin. Tutto doveva essere proprietà dello Stato.

Avviò un programma di industrializzazione: ogni cinque anni si ponevano degli obiettivi (“piani quinquennali”) che l'industria (statale) doveva raggiungere. L'URSS azzerò così la disoccupazione e si trasformò in una potenza industriale, facendo però pagare un prezzo molto alto al popolo, costretto a paghe base e a lunghe giornate di lavoro.

Ai contadini vennero confiscate tutte le terre e il bestiame e furono create cooperative di contadini (kolchoz) e aziende agricole statali (sovchoz) nelle quali i contadini ricevevano un salario (“collettivizzazione forzata”). I risultati economici furono scarsi, anche perché molti decisero di non collaborare: si produssero nuove grandi carestie.

Negli Anni '30 Stalin trasformò l'URSS in un regime totalitario, controllando il Partito Comunista e lo Stato.

Perseguitò gli avversari politici, i capi dei popoli che reclamavano maggiori autonomie, chi era contrario alla collettivizzazione forzata della terra (“kulaki”), chi professava una religione (lo Stato sovietico infatti imponeva a tutti l'ateismo).

Arrestati da una polizia segreta e dopo processi nei quali gli accusati erano costretti a confessare colpe spesso mai commesse, venivano rinchiusi nei campi di lavoro (“gulag”) o uccisi. Fu chiamato il periodo delle “grandi purghe”: furono deportati tra i 15 e i 20 milioni di persone.

Il comunismo in Russia

La situazione fino alla Prima Guerra Mondiale

La Russia è una monarchia assoluta, guidata da un imperatore chiamato zar (dal latino “caesar”), fortemente legato alla Chiesa ortodossa, che tiene lo Stato nelle sue mani.

Non si è sviluppata l'industria e l'economia si fonda sull'agricoltura, basata fino al 1861 sulla schiavitù contadina (“servi della gleba” cioè della terra); il popolo vive in una grande miseria.

Lo zar Alessandro II capisce che occorre modernizzare il Paese per poter competere con le altre potenze: crea qualche industria a Mosca e a Pietroburgo con capitali statali, fa affluire imprenditori francesi, costruisce alcune ferrovie (la Transiberiana). Tuttavia ottiene scarsi risultati perché manca una borghesia industriale.

I pochi borghesi che conoscono l'Occidente vorrebbero trasformare il loro Paese ispirandosi alle idee anarchiche o socialiste. Alcuni di loro danno vita a un movimento che cerca di diffondere l'istruzione tra i contadini per prepararli a una rivoluzione. Vengono chiamati “populisti”: sono arrestati e dispersi dalla polizia dello zar.

La Russia aveva un immenso territorio e cercava di conquistarne di ulteriore, soprattutto in Asia. Ma lo zar Nicola II, succeduto ad Alessandro II, aveva subìto nel 1905 una dura sconfitta da parte della flotta giapponese (ricordi?). Le spese per quella guerra avevano ulteriormente peggiorato la vita della gente. Iniziarono manifestazioni pacifiche, ma la dura reazione della polizia dello zar le trasformò in rivolte violente guidate da gruppi socialisti; lo zar fu costretto a creare un Parlamento (“duma”) come in occidente.



La rivoluzione d'ottobre

Lo zar decise di partecipare alla Prima Guerra Mondiale per onorare gli impegni con le altre potenze (soprattutto con la Serbia), ma l'assenza dei giovani, mandati al fronte, mandò in crisi l'economia. Nel febbraio del 1917 scoppiarono numerosi scioperi a Pietroburgo, residenza dello zar e principale centro industriale. Nicola II inviò l'esercito che tuttavia si alleò con gli insorti: lo zar decise di abdicare.

La protesta si diffuse in tutto il Paese generando caos. Si costituì un governo provvisorio, guidato da Kerenskij, che aveva preso il posto dello zar e aveva idee liberali e democratiche. Contemporaneamente si crearono nelle fabbriche e nell'esercito dei gruppi di autogoverno, chiamati “consigli” (in russo “soviet”): erano composti da socialisti, tuttavia divisi tra coloro che volevano seguire la via democratica (“menscevichi”) e coloro che volevano una rivoluzione (“bolscevichi”).

I bolscevichi, di ispirazione comunista, erano capeggiati da Lenin. Egli sostenne (“tesi d'aprile”), che si dovesse firmare subito la pace, distribuire la terra ai contadini, togliere il potere al governo provvisorio per consegnarlo ai soviet.

Nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1917 i bolscevichi attuarono un colpo di Stato a Pietroburgo e crearono un governo rivoluzionario che tolse le terre ai nobili per assegnarle ai consigli dei contadini e avviò trattative di pace con la Germania.

Questo scatenò una guerra civile che si protrasse per circa tre anni: da una parte i generali fedeli al defunto zar, aiutati dalle potenze occidentali e da molti menscevichi; dall'altra un esercito creato dai bolscevichi, l'Armata Rossa, composto da operai e contadini, guidato da Trotzkij. Vinsero a sorpresa i rivoluzionari.