Il Giappone era governato da un imperatore che aveva solo un potere formale: il potere reale risiedeva nelle mani di un generale (shogun) che lasciava la carica ai propri discendenti. Dal XVII sec. tale carica era nelle mani della dinastia Tokugawa.
La società giapponese era di tipo feudale: un piccolo gruppo di proprietari terrieri, devoti all'imperatore, amministrava i terreni sui quali lavoravano schiere di contadini. La nobiltà minore esercitava il mestiere di soldato (samurai).
L'economia, prevalentemente agricola, era autosufficiente. Erano nate alcune manifatture, ma non era ancora giunta la rivoluzione industriale. Era vietato commerciare a quasi tutte le nazioni straniere.
Da tempo le nazioni occidentali cercavano di “forzare” questo divieto. Nel 1853 alcune navi statunitensi (chiamate “navi nere” per il loro aspetto) attraccarono nel porto di Nanchino e pretesero il permesso di commerciare. Lo shogun, spaventato, lo concesse, ma questo segnò la fine del suo potere.
Salì infatti al trono l'imperatore Mitsuhito (?), chiamato l'Illuminato (Meiji), che iniziò una serie di riforme. Tolse potere allo shogun e trasformò l'impero in una monarchia costituzionale; abolì i diritti feudali, rese obbligatoria l'istruzione e la leva militare; abolì il buddismo e impose lo scintoismo; avviò l'industrializzazione.
Tuttavia, a differenza dell'Europa, le fabbriche furono create dallo Stato; vi lavoravano ex contadini ed ex nobili, che mantennero la laboriosità e l'obbedienza della precedente società feudale (“capitalismo feudale”). La rivoluzione industriale non produsse una “questione sociale”. Anche per questo, a inizi '900, il Giappone divenne una potenza mondiale, capace di sconfiggere la Russia.
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